LA MIGRZIONE COME METAFORA

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Il lavoro che siamo tenuti a fare quando incontriamo le ospiti e costruire un doppio legame, il legame utilitario per il quale siamo pagati ma c’è anche un legame tra due persone in quanto esseri umani che sono simili nella nascita, nella malattia, nella morte, ma anche nella migrazione. Si perché durante la vita di ognuno di noi viviamo delle migrazioni come dice padre Zanotelli: “Non viviamo sempre nello stesso mondo” e io aggiungo allo stesso modo, perché lo scorrere della vita ci cambia. ll legame tra le persone deve precedere quello tra operatrice e rifugiate, ma come fare?
L’unico modo è il mutuo riconoscimento tra due persone che hanno delle vulnerabilità.
Dobbiamo mostrare alle persone che siamo vulnerabili, che abbiamo emozioni per questo è importante soffermarci sulle parole preziose.

Le parole, lo sguardo, a volte il contatto fisico, entrano nel legame tra le persone.
Dobbiamo essere consapevoli che le parole si possono distinguere tra parole dovute, es se chiedere quanti fratelli hai? Inducete l’obbligo di una risposta e se la persona a cui ti rivolgi non vuole parlare di sé dirà una bugia pur di rispondere qualcosa.
Mentre in realtà si deve dare l’opportunità alle persone di dire o non dire.
Si può invece iniziare” ho pensato a te in questi giorni, sono dispiaciuta per la tua situazione. Mi chiedevo cosa potessi fare per aiutarti, nei prossimi giorni se vorrai io sono a tua disposizione per la raccolta della tua storia che dovrai raccontare davanti alla commissione puoi farti aiutare dalla mediatrice che è persona di fiducia o dalle ragazze tue connazionali. Dobbiamo cercare di suscitare parole preziose.
Quali sono le parole preziose? Sono le parole che spontaneamente il rifugiato pronuncia quando parla della sua storia es il dolore per il papà morto …il dispiacere per il mandato familiare tradito …. non posso chiamare mia mamma perché chiede soldi, la preoccupazione per i fratelli lontani … , sono fuggito … Parole da ascolta re con molta attenzione perché la persona si scopre, parla delle sue emozioni, della narrazione della sua vita, dell’ingiustizia, del dispiacere provato.

Dobbiamo essere consapevoli che le parole preziose nella relazione devono essere reciproche
Ti ho pensato .. .
Nella mia vita …
E’ molto difficile per me …
Mi dispiace sentire …

Il problema del non riuscire a suscitare una narrazione verosimile utilizzando parole preziose è che il
rifugiato impari una parte a memoria e la reciti per fini utilitaristici ma queste parole non lo rappresentino, Lo identifichino ( sono un richiedente) ma non lo riconoscano ( que6ta storia parla proprio di me, mi rappresenta)
Spesso diciamo: “ti devi fidare” è una parola senza senso per i rifugiati. Perché mi devo fidare?
Tu lavori per il governo, sei un italiano ( che forse disprezzo ), sei un occidentale che non sa niente del mio mondo, dell’Africa, del Pakistan, dell’ Afganistan … del mio credo, della mia storia familiare, dei miei usi e costumi.
Posso fidarmi solo di una persona che dimostra di essere semplicemente un essere umano.
Per fidarsi dobbiamo dimostrare di essere sullo stesso piano, allora devo pensare che io per primo devo dare parole preziose per lasciare libero l’altro di parlare o tacere.

Solo in un secondo tempo, ( il tempo è da considerare come strumento) si potranno usare parole moneta Le parole moneta sono le parole dove ci si scambiano informazioni, le regole, le formazioni ma al fine del racconto e della narrazione della vita del rifugiato non hanno peso.

Infine esistono le parole sacre
le parole sacre si spendono , in coppia, in famiglia, in piccoli gruppi di comunità religiosa o etnica e non devono mai uscire da questi contesti, per questo non vengono spese leggermente.
Nel racconto le parole sacre sono il diritto al silenzio, ( non si può chiedere sei stata violentata?) perché non si può chiedere tutto, quello è il sacro della persona!
Invece quello che succede quando arrivano è fatto da visite mediche che indagano, chiedono, raccolgono informazioni senza rendersi conto che entrano nel sacro.
Le reticenze nel raccontare di sé è legato alle parole sacre.
La difficoltà è nel coniugare la necessità di una anamnesi medica e la loro cultura .

Il lutto
Arrivano in emergenza, in lutto ma non possono vivere il lutto proprio perché sono in emergenza e noi non possiamo con le nostre indagini creare una voragine che li precipiterebbe in uno stato depressivo.
Solo quando saranno in uno stato di sicurezza potranno elaborarlo.

Il silenzio dell’operatore
Esiste anche il silenzio dell’operatore, è uno spazio durante il colloquio o durante i tempi dei colloqui, grazie al mediatore culturale che fa da tramite con il richiedente, l’operatore ha il tempo per riflettere su cosa dire o non dire. Devo dare uno spazio al silenzio per riflettere sul dono delle parole che mi vengono dette.

TEORIA DEL RICONOSCIMENTO
Le teorie del riconoscimento sono importanti, dicono che la precarietà e la sofferenza non sono una
malattia ma un disconoscimento.
Un primo livello : bisogna identificare chi si ha davanti ( es assistente sociale, richiedente, operatore,
insegnante)
Un secondo livello: è il riconoscimento di ciò che sono capace di fare e la possibilità di dirlo a qualcuno,
bisogna riflettere su come· potenziare la possibilità di far dire o agire sulla propria situazione.
Terzo è il riconoscimento reciproco che passa attraverso:
l’approvazione di se stesso come essere umano, ( sei stato molto bravo, hai fatto un viaggio lungo e
avventuroso, difficile, io non ne sarei capace … aiutami a capire come aiutarti…non posso sapere cosa hai passato e questo mi mette in difficoltà …
La stima sociale ( sono sicura che sarai una risorsa per il nostro paese, … per la nostra casa, … per le tue
compagne, … per me … )
L’approvazione dei diritti: le regole della prefettura 􀁏ico_I10 che … non dipende da me questo … posso provare a sollecitare … posso chiedere questa cosa per te … possiamo decidere che … non posso per motivi
organizzativi fare diversamente … tu cosa proponi. .. cosa pensi sia meglio per te … insieme decidiamo che …
La gratitudine, ti sono grata per il dono delle tue parole … , per l’aiuto che stai dando … , per la tua disponibilità…

L’IDENTITA’ NARRATIVA
L’identità narrativa non è solo una identità personale ma è anche collettiva, come la famiglia si racconta, come la comunità si racconta.
Quando c’è un evento importante nella nostra vita es una perdita del coniuge, un divorzio, la perdita del
lavoro, l’esilio, quando ci sono questi eventi c’è sempre bisogno di riscrivere la propria vita.
Nel riscrivere la narrazione dobbiamo trovare un “senso” non basta il racconto della vicenda.
Come è possibile riscrivere l’esilio nell’ identità narrativa di una vita?
Come riscrivere il fallimento o il respingimento nella storia della propria vita?
Quando si tratta poi di richiedenti il problema è che il presente è un tempo sospeso, vuoto e quando c’è un vuoto non è possibile legare il passato al futuro.
Per questo è importante dare un contenuto a questo tempo presente:
Es “Se anche non dovessi ottenere il permesso puoi … cosa puoi fare per diventare autonoma …. cosa pensi puoi fare per trovare un lavoro … cosa pensi di poter fare per … “
“Se anche devi tornare al tuo paese puoi dire di aver creato delle relazioni con … , ha i conosciuto … , hai
imparato … , gli operatori devono creare contenuti.”
La narrazione per la commissione ha come finalità di raccontare quali sono i giusti motivi per scappare, ma questo non ha niente a che fare con il mutuo riconoscimento . Il riconoscimento vi è all’inizio si un identificazione ma nel caso della commissione c’è chi identifica e chi viene identificato, vi è un gioco di potere, vi è disequilibrio , mentre perché avvenga un mutuo riconoscimento l’operatore deve diventare un testimone di ciò che la persona ha vissuto durante il viaggio.
L’operatore non è solo testimone del racconto di un singolo ma diventa testimone di eventi che coinvolgono continenti, esodi, guerre, tragedie che non vengono raccontati dai giornali. Quindi l’operatore diventa in quest’ottica il testimone del testimone e allora sorge la domanda come testimone del testimone
cosa può fare di più?

IL MEDIATORE
Il mediatore non può essere solo un mediatore linguistico, deve spendere parole proprie, per essere veramente di collegamento tra le persone. I
Il mediatore può essere lo strumento per il riconoscimento reciproco , perché vi è somiglianza culturale, di storia di immigrazione, può suscitare identificazione, mutuo riconoscimento, approvazione, può essere lo strumento per I’ utilizzo dei diritti.
NB non è importante se il discorso tra mediatore é. ospite non sia esattamente di traduzione letterale è bene che sia un rapporto libero.
I vari ruoli del mediatore:
traduttore: letterale
traduttore di senso: (utilizza la sua competenza e CQ.n.9scenza culturale e di vita)
avvocato: (il rifugiato ha bisogno di qualcuno che lo difenda che gli spieghi quali diritti e doveri, per non sentirsi solo)
Co-operatore: operatore della stessa cultura
Acrobata: perché ogni volta deve capire quale ruolo giocarsi e deve rispondere alle aspettative dei professionisti che lavorano con lui.
Il problema per il mediatore è il doppio debito nel senso che riceve parole preziose e le conserva gelosamente (non tutto viene raccontato nella traduzione) ma ricambia parole moneta (traducendo ) c’è disequilibrio e questo può fargli male.

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